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COSTUME
Ciò che in particolar modo contraddistinguevano gli immigrati albanesi, erano i costumi sia maschili che femminili. Particolarmente sontuosi e ricchi di ornamenti quelli femminili con rifiniture e decori anche in oro zecchino (abito nuziale). Le rifiniture erano così sfarzose e carichi di colori da render pure gli abiti normali o di tutti i giorni importanti. Anche a quelli delle donne del popolo tali elaborazioni cromatiche conferivano un aspetto regale e nobiliare.
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Da ricordare anche i gioielli indossati dalle donne. Erano stupendi. Siccome nella loro unicità sia del disegno che del valore rappresentavano un vanto, erano a giusta ragione, mostrati dalla madre della sposa la sera prima del matrimonio alla suocera, ed in seguito agli invitati e poi a tutto il paese. (Antica usanza tramandata sin dai primi del "900)
LE VALLJE
Secondo la tradizione queste feste sono state stabilite per rievocare una grande vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderberg contro gli invasori Turchi, proprio nell'imminenza della Pasqua. La vallja consiste in una danza popolare, formata da giovani vestiti in costume tradizionale arbëresh, che tenendosi a catena per mezzo di fazzoletti e guidati all'estremità da due figure particolari, chiamati "flamurtarë" (portabandiera), si snodano per le vie del paese eseguendo canti epici, rapsodie tradizionali, canti augurali o disdegno per lo più improvvisati. Non si tratta di una variante della tarantella calabrese, ma di una ridda dal colorito originale albanese, che ci richiama i ritmi sostenuti e fieri che ancora oggi trovano nelle danze dei montanari del Dukagjini, del Rugovo, regione montuosa della Kosova, e dell'Epiro. Il ritmo della danza a volte grave e a volte aggressivo si rintraccia soprattutto nella "vallja e burravet" (la danza degli uomini). Questa vallja è composta da soli uomini che tratteggiano e ricordano nei loro movimenti la tattica di combattimento adottata da Skanderberg per catturare il nemico. La vallja si svolgeva anticamente in quasi tutti i paesi arbëreshë il pomeriggio della domenica di Pasqua, il lunedì e il martedì. Attualmente ha luogo quasi il martedì dopo Pasqua "Vallja e martës së Pashkës", ed è viva solo a Civita,Frascineto e ad Eianina e in parte a San Basile e Firmo. La ridda compie fantasiose evoluzioni, e con improvvisi spostamenti avvolgenti "imprigiona" qualche cortese turista che, di buon grado, offre generosamente nei bar per ottenere il "riscatto" della sua libertà.

LA CUCINA
La cucina albanese è molto semplice ma saporita per gli aromi speciali usati. Fra i primi piatti si segnalano: dromesat (pasta fatta con grumi di farina cucinati direttamente nei sughi), shtridhelat (tagliatelle con una particolare lavorazione cucinate con ceci e fagioli). Molto usata la carne di maiale ma anche le altre carni: perzie di mishesh arbesh (misto di carne: capretto, agnello, pancetta di maiale), kagiq me patana (capretto con patate), macakorda (coratella di capretto). Ottime le frittate: veze petul di cicoria, cardi selvatici, scarola e cime di capperi; la minzetra uligne me bath (fave secche ed olive). Fra i formaggi ricordiamo: djathe (pecorino), filicat (giuncata), gjize (ricotta) e fra i salumi: saucice (salsiccia), ndule (salsicciotto), e supersate (soppressata). Grande uso di dolci nelle grandi ricorrenze: kanarikuj (grossi gnocchi bagnati nel miele), kasolle me gjize (involtino ripieno di ricotta), kulac (ciambella), petulla (frittelle), nucia (ha la forma di un fantoccio con un uovo che raffigura il viso) e i mustaculli.


TRADIZIONE E CULTURA POPOLARE
L'aspetto fondamentale della tradizione popolare arbëresh è la sua trasmissione esclusivamente legata all'oralità. La forte coscienza a un'identità etnico-linguistica diversa è sempre presente nelle produzioni folkloristiche.
Nel folklore, in tutte le sue forme, emerge un costante richiamo alla patria di origine. I canti popolari e religiosi, le leggende, i racconti, i proverbi riecheggiano un forte spirito di comunanza e solidarietà etnica.
I motivi ricorrenti sono la nostalgia della patria perduta, il ricordo delle leggendarie gesta di Skanberberg ( eroe riconosciuto da tutte le popolazioni albanesi del mondo), la tragedia della diaspora in seguito all'invasione ottomana.
La coscienza di appartenere ad una stessa etnia, ancorchè dispersa e disgregata, si coglie tra l'altro in un motto molto diffuso, che i parlanti albanesi spesso ricordano quando di incontrano: gjku yne i shprishur, che vuol dire " il sangue nostro sparso". I motivi della tradizione popolare si ritrovano nella letteratura, che proprio da ciò mosse i primi passi. Altri elementi strutturali della cultura arbëresh delle origini sono giunti ai nostri tempi attraverso una storia secolare, e mantengono una loro forza di rappresentazione dell'organizzazione delle comunità. Tra essi essi ricordiamo la "vatra", il focolare, il primo locus culturale attorno a cui si muove la famiglia; la "gjitonia", il vicinato, il primo ambito sociale al di fuori della casa come continuità della famiglia e primo accesso alla comunità. Ancora la "vallja" (leggi sopra); la "vellamja", la fratellanza, rito di parentela spirituale; la "besa" la fedeltà all'impegno, quasi un rito di iniziazione sociale con precisi doveri di fedeltà alla promessa data senza alcuna prevaricazione. La consapevolezza della necessità di una valorizzazione e tutela della cultura albanese ha favorito la nascita dui associazioni e circoli culturali, e ha dato luogo ad iniziative e manifestazioni culturali.